Finalmente si va a Pompei: il 2 settembre scorso, con Paolo sono partita verso un luogo che da tempo sognavo di visitare; in verità da quelle parti ci eravamo già stati 45 anni fa durante il viaggio di nozze ma i ricordi erano lontani e nebbiosi.

Ciò che aveva alimentato il mio desiderio era stata la costante e continua scoperta di nuove meraviglie; gli scavi sono stati notevolmente incrementati negli ultimi anni, frutto forse di un maggiore impegno da parte delle istituzioni che ne hanno anche dato maggiore visibilità.

Così, in occasione dei 45 anni di matrimonio, abbiamo organizzato questo viaggio per visitare oltre a Pompei anche Ercolano e Paestum.

Vista la lunga distanza, partiamo da Pisa un giorno prima rispetto alla prenotazione di tre giorni a Pompei con l’intento di fermarci in qualche cittadina subito dopo Roma; in itinere però, abbiamo cambiato idea, decidendo di fare la prima tappa ad Ercolano.

Che piacevole sorpresa aver trovato, prenotandolo per strada, un economico ma perfetto hotel (con posto macchina a pagamento) situato proprio davanti all’ingresso del sito archeologico, che abbiamo visitato la mattina successiva.

Il colpo d’occhio sugli scavi è stato spettacolare: la parte di Ercolano antica, attualmente riportata alla luce, si può ammirare dall’alto, lungo il camminamento che porta alla biglietteria e che prosegue anche dopo. Se invece lo sguardo si alza verso il mare, incontra le famose isole che costituiscono le propaggini del golfo di Napoli: a destra Ischia e Procida, a sinistra Capri.

La mia attenzione è stata subito attratta dalla struttura dei muri delle case  che sembrano costruiti a “nido d’ape”. Come ha poi spiegato il sig. Leone, la simpatica  guida cui ci siamo affidati, questo tipo di muratura era una tecnica edilizia molto usata dai Romani (opus reticulatum), come consolidamento ma anche come rifinitura estetica.

Chi sapeva che durante l’eruzione del 79 d.c. Ercolano e Pompei erano state “diversamente” distrutte? Noi proprio no!  La prima è stata sommersa da una coltre di fango bollente salita dal basso verso l’alto e sferzata da un vento infuocato che ha scarnificato le persone rifugiate in edifici lungomare davanti a quella che allora era la spiaggia (sono stati ritrovati anche molti scheletri), la seconda è stata ricoperta da cenere e lapilli infuocati che hanno distrutto praticamente tutto ciò che fosse organico.

Queste prime informazioni con cui ha esordito il sig. Leone, sono state fruttuose per il prosieguo della visita: molte abitazioni riportate alla luce conservano ancora i secondi piani con resti di travi e balconi di legno e, nel piccolo museo allestito all’interno del sito, sono esposti anche i resti di una grande barca sotto la quale è stato ritrovato lo scheletro di una persona che vi aveva trovato riparo in attesa di poter fuggire via mare con i suoi (e anche di altri) averi. Attualmente il mare è lontano ma la linea di costa dell’epoca è ben visibile anche oggi dall’alto e  accessibile dalla lunga galleria scavata nella roccia piroclastica.

Se le potenti pompe collocate all’interno della galleria stessa, non fossero continuamente in azione, l’acqua sommergerebbe gli edifici costruiti davanti alla spiaggia originaria e riportati con fatica alla luce.

Gli effetti dell’eruzione ci hanno consegnato un tessuto urbano cristallizzato allo stesso ambiente in cui vivevano gli abitanti della cittadina costruita sul mare quasi due millenni fa; visitare le signorili ville dei ricchi senatori romani calpestandone i pavimenti a mosaico rimasti e volutamente calpestati per meglio conservarli (causa l’umidità presente), ammirare i resti degli affreschi che abbellivano i loro interni, camminare per le strade sulle quali si affacciano gli edifici propedeutici alla vita della comunità, mi ha suscitato un’infinità di emozioni.

Emozioni seconde solo a quelle che mi aveva generato la villa Romana del Casale a Piazza Armerina, dove “l’album fotografico” degli stupendi e intatti mosaici, questi non calpestabili, ci ha illustrato e fatto immergere in un affascinante passato.

Gli scavi di Ercolano, 5 ettari emersi su 20 presunti, oggi proseguono sovvenzionati anche da un magnate statunitense che si è innamorato del sito; sarà però necessario abbattere le brutte costruzioni che gli fanno da cornice,  per riportare alla luce altra bellezza: meno male!

Nel pomeriggio siamo ripartiti alla volta di Pompei (tutta comoda autostrada) dove ci siamo sistemati nell’Hotel prenotato da tempo ma che ci ha deluso, nonostante la pretesa di lusso e il costo notevolmente superiore rispetto a quello di Ercolano.

Ci siamo ritrovati in una cittadina totalmente votata al turismo in prevalenza per gli scavi ma anche per la presenza del Santuario della Beata Vergine Maria del Santo Rosario: piena di vita ma anche piena di ristoranti, pizzerie, gelaterie, bar, negozi e invasa dagli immancabili banchetti di souvenir e di limoni e limoncelli.

Secondo giorno, inizia la visita agli scavi di Pompei al seguito di Giulia che ci guida, questa volta con i provvidenziali auricolari. Assieme al gruppo siamo entrati dall’ingresso di Piazza dell’Anfiteatro e abbiamo iniziato un itinerario che ci avrebbe fatto visitare solo una parte dei 50 ettari (su 66) scavati.

Cosa mi ha colpito di più? Senz’altro le diritte strade in pietra vulcanica (basolate) costruite più in basso rispetto ai marciapiedi a causa dei liquami che vi scorrevano ma provviste di passaggi pedonali sopraelevati formati da grosse pietre alternate. E su queste strade sono ancora visibili i solchi prodotti dai carri che rifornivano la città.

La visita al sito di Pompei, senza il colpo d’occhio dall’alto che ci ha regalato Ercolano, ci fa comunque scoprire una città quasi completamente estratta dalle ceneri e dai lapilli che l’avevano seppellita ma che hanno consentito un’eccezionale conservazione degli edifici con insegne o indicazioni del loro uso, di molte suppellettili, di affreschi con scene di ogni tipo, anche e spesso erotiche.

Insomma, una realistica immagine dell’organizzazione della città romana e della vita quotidiana dei suoi abitanti, con il foro, i templi, l’anfiteatro, i teatri, le terme, i bordelli, i negozi di ogni genere (riconoscibili dalle scanalature agli ingressi), le abitazioni più o meno signorili e anche le immagini in negativo dei corpi delle persone e degli animali all’interno delle ceneri solidificate.

Con le colate di gesso all’interno delle cavità lasciate dai corpi, sono state riprodotte statue fissate nella posa che le vittime avevano al momento dell’eruzione.

La maggior parte dei reperti, che non è stata trafugata da ladri di ogni genere, è conservata opportunamente nei musei; chissà se anche gli incredibili e bellissimi affreschi dipinti sul Termopolio,  recentemente riportato alla luce, saranno rimossi e trasferiti al museo.

Il ritrovamento di questo “fast food” dei romani, unico nel suo genere proprio per i pregevoli dipinti dai vividi colori, nei cui contenitori sono stati ritrovati residui del cibo cotto venduto in strada, è stata la spinta che mi ha fatto scegliere questa meta, e non me ne sono pentita!

La visita guidata di quattro ore ci ha consentito di vedere solo una parte del sito di Pompei e poiché non era compreso anche il nuovo Termopolio, Paolo ha chiesto informazioni per raggiungere l’oggetto del mio desiderio; attraverso un accesso controllato, con scavi ancora in corso, abbiamo potuto ammirarlo, protetto giustamente da lastre di vetro che ne attenuano però la bellezza, soprattutto nelle foto

E, come ho letto, per merito delle lettere di Plinio il Giovane, testimone oculare (da lontano) dell’epoca, sappiamo con precisione che l’eruzione avvenne il pomeriggio del 24 agosto nell’anno 79 d.c.; suo zio, il famoso letterato Plinio il Vecchio, morì mentre cercava con la sua flotta di portare in salvo la gente sfollata a causa dell’eruzione.

L’ultima visita l’abbiamo riservata a Paestum, distante ben 71 chilometri da Pompei, non tutti serviti dall’autostrada; ma questo, che sembrava un inconveniente, si è rivelata una piacevole opportunità per  vedere il Cilento.

Anche il tempo ci ha voluto bene: la pioggia che era scesa abbondante nella notte, ha lasciato il posto ad una luminosa e assolata giornata.

Lasciata l’auto in un parcheggio fiancheggiato da imponenti mura, che delimitano l’antica cittadina per  quasi cinque chilometri (come ho saputo in seguito), siamo rimasti impressionati dalla visione di due, dei tre imponenti templi color ocra adagiati in verdi e ben manutenuti prati con il cielo azzurro da sfondo.

Il sito infatti è visibile dalla larga e lunga strada dove a metà si trova la biglietteria, mentre dall’altro lato oltre al museo sono presenti abitazioni private, ristoranti, bar e negozi di souvenir … ma niente a che vedere con la confusione di Pompei.

Era domenica ma abbiamo fatto poca fila per entrare e ci siamo subito aggregati, senza tante formalità, ad un gruppo con la guida che aveva già iniziato il percorso e le spiegazioni.

Qui il Vesuvio non ha fatto danni e quello che oggi è rimasto sono i resti di importanti civiltà che si sono succedute ma che hanno lasciato l’impronta della loro grandezza. Paestum, in origine  Poseidonia e abitata fino al medioevo, fu abbandonata a causa del  progressivo avanzare delle paludi, fino a quando all’incuria subentrò la riscoperta della città dopo quasi un millennio.

Furono i greci a costruire Poseidonia con i templi che ancora oggi sovrastano l’intera zona archeologica e i Lucani, che a loro subentrarono, si fusero con la precedente civiltà fino alla colonizzazione, nel 273 a.c., da parte dei Romani che la chiamarono Paestum.

Devo dire che anche la terza guida, un signore di cui non so il nome, è stata molto brava e ha sollecitato il nostro interesse raccontando anche particolari interessanti.

Come la diversa modalità di costruzione dei templi per cui il più piccolo e più recente, quello di Athena, è il più armonico architettonicamente rispetto al più datato tempio di Hera e al più imponente e meglio conservato tempio di Nettuno.

Oppure il fatto che l’anfiteatro romano fosse stato scavato solo per due terzi perché la restante parte si trova tuttora interrata sotto la strada che costeggia il sito e sotto il giardino di un’abitazione privata dall’altra parte della strada; una causa pendente da anni con i proprietari, impedisce di finire lo scavo.

Non tutto è stato riportato alla luce ma, dai resti emersi, si distinguono le principali strutture pubbliche della città come il foro romano subentrato all’agorà greca, le terme, i negozi ma anche le abitazioni private.

E nel museo, molto ben allestito, abbiamo potuto ammirare, oltre ai preziosi reperti testimoni della vita quotidiana e artistica di quelle antiche civiltà, anche le tombe scoperte nelle necropoli greche e lucane costituite da lastre di pietra dipinte al loro interno. Le pitture illustrano scene di vita del defunto e la tristezza dei suoi superstiti ma il ritrovamento della cosiddetta tomba del tuffatore,  raffigurante un uomo che, sorridendo, si tuffa in acqua,  simboleggia una nuova  concezione dell’aldilà, come una liberazione dell’anima dal corpo verso il mondo dei morti inteso non più come un posto oscuro e triste ma come un paradiso.

La costante manutenzione del sito è merito, stando a quanto ci ha riferito la guida, del ministro Franceschini che ha imposto anche il taglio dell’erba giornaliero.

Questa domenica 5 settembre coincideva con il nostro anniversario e quale migliore ambientazione potevamo scegliere per festeggiarlo? Così abbiamo pranzato nella trattoria (per modo di dire!) di mare “ALICI”: un po’ cara ma con portate squisite.

Ritornando verso Pompei e prima di entrare in autostrada, abbiamo ripercorso la bella e ben tenuta campagna cilentana fra campi coltivati e fattorie per la produzione delle mozzarelle di bufala: dobbiamo ritornarci per approfondire!

Questo è il racconto scritto per fissare i ricordi di un viaggio intrapreso per festeggiare; la speranza però è che la condivisione di queste esperienze serva da stimolo a visitare i luoghi inclusi nella lista dei siti patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO.

Manola Battaglia

(dal 2 al 6 settembre 2021)

 

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